Propongo un articolo intervista unico che è stato redatto da un vecchio amico per il Secolo XIX.
I CONTRASTI DEL 1939 IN VATICANO NEL RACCONTO DELL’ULTIMA TESTIMONE
Mussolini, Hitler e lo scontro tra i due Papi
LUCA ROLANDI GENOVA.
A volte la storia può anche parlare. C’è una persona, a Genova, in grado di dare la sua testimonianza su uno dei passaggi più cruciali e controversi del Novecento: le scelte del Vaticano tra il 1938 e il 1939, a cavallo tra le leggi razziali diMussolini e la carneficina della seconda guerra mondiale scatenata da Hitler. Ma anche a cavallo tra due papi, Achille Ratti PioXI ed Eugenio Pacelli PioXII. La testimone è Bianca Penco, allora giovane dirigente dellaFuci, l’organizzazione degli universitari cattolici. L’episodio che tanti anni non hanno cancellato dalla sua memoria è un’udienza privata di papa Ratti il quale, a pochi qualificati esponenti della Fuci, rivelò che si accingeva a rendere pubblica una durissima condanna nei confrontidei regimi nazista e fascista. Ma pochi giorni dopo l’udienza, e proprio alla vigilia dell’importante discorso, Pio XI morì all’improvviso. E forse la storia cambiò il suo corso. Prima di dare la parola a Bianca Penco è necessario inquadrare l’epoca e i personaggi: la beatificazione di papa Pacelli, il suo rapporto con il predecessore Pio XI, la contraddittoria posizione della Chiesa negli anni del nazismo e della guerra, sono al centro del dibattito culturale. In occasione di un convegno organizzato a Roma dalla “Pave The way Foundation”, Onlus americana che ha presentato documenti sull’impegno di PioXII in difesa degli ebrei, Benedetto XVI ha inviato un messaggio in cui ricorda «non pochi interventi da lui compiuti in modo segreto e silenzioso proprio perché, tenendo conto delle concrete situazioni di quel momento storico era possibile temere il peggio e salvare il più grande numero possibile di ebrei».A sostegno della tesi di un Papa Pacelli salvatore di migliaia di ebrei giunge il rigoroso saggio di Andrea Riccardi, “Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma”.Dal lato opposto il saggio di Emma Fattorini “Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa”, quello pubblicato recentemente in Germania da Hans Peter Oschwald (“Pio XII. L’Ultimo vicario”) e soprattutto l’autorevole scrittore della “Civiltà Cattolica” Giovanni Sale. Questi saggi dimostrano, con fonti inedite, come in occasione delle leggi razziali e prima ancora, negli anni dell’ascesa al potere di Hitler in Germania, Eugenio Pacelli, allora segretario di Stato, non fosse allineato totalmente alle posizioni di dura opposizione di Pio XI. Il contrasto è documentato da un appunto inedito di Monsignor Domenico Tardini, addetto presso la segreteria di Stato retta da Pacelli. Fu un intervento di Papa Ratti, pubblicato sull’Osservatore Romano, a far nascere il contrasto con il segretario di Stato. Il documento di papa Ratti era la bozza preparatoria di un’enciclica di forte condanna al razzismo, in occasione del decennale della Conciliazione, che non vide mai la luce per l’improvvisa morte del pontefice. La testimonianza di Bianca Penco, professoressa genovese ora in pensione, presidente della Fuci negli anni Quaranta con Moro e Andreotti, a distanza di sessant’anni dall’incontro con Pio XI, fa luce su questa vicenda. È una signora di novantuno anni, che racconta una vita piena d’incontri importanti, un’esperienza al servizio della Chiesa e del Paese. Alla fine degli anni Trenta a Genova era attivo un vivace gruppo di universitari cattolici “fucini”; nomi che diventeranno importanti punti di riferimento nell’Italia del dopoguerra: Giuseppe Siri, Franco Costa, Emilio Guano e Giacomo Lercaro. Gli amici del tempo sono Paolo Emilio Taviani, Augusto Solari, Peppino Manzitti, Fausto Montanari. Bianca Penco, dopo l’esperienza nel circolo della Fuci di Genova, è incaricata a Roma, prima come delegata della zona nordovest e poi come vicepresidente dal 1939 al 1942, poi diverrà presidente nazionale della Fuci dal 1942 al 1947. A fianco dei giovani Giulio Andreotti e Aldo Moro vive da vicino i momenti più difficili dei pontificati di Pio XI e Pio XII. Penco rievoca il difficile percorso di contrapposizione di Pio XI nei confronti dei totalitarismi, dall’Enciclica “Mit Brennender Sorge”, del 14 marzo 1937, sul carattere radicalmente anticristiano del nazismo e l’antisemitismo, alla difesa dell’Azione cattolica contro gli attacchi del regime, ma anche gli interventi controversi nei confronti delle leggi razziali del 1938. Ma lei è diretta testimone dell’ultimo degli atti compiuti da Pio XI, che non fu reso noto soltanto per la sua morte improvvisa, avvenuta il 10 febbraio 1939. Il fatto è stato ricostruito dalla storica Fattorini. Pio XI, il Papa dei Patti Lateranensi, avrebbe dovuto annunciare l’11 febbraio 1939, proprio in occasione del decennale della Conciliazione, l’enciclica sul razzismo e contro coloro che minavano «la libertà che la Chiesa non può fare a meno di proclamare». Bianca Penco racconta: «Alla fine della nostra abituale settimana di studi, fummo ricevuti da Pio XI. Il Papa accolse una rappresentanza, in udienza privata, con grande cordialità. Ci parlò con voce accorata delle persecuzioni che avevano colpito i nostri gruppi e altre associazioni cattoliche, tradendo i Patti Lateranensi. Poi prosegue Penco–Pio XI ci confidò di aver preparato per l’anniversario della Conciliazione un discorso molto duro: era determinato, austero come il suo solito, pronto a sfidare Mussolini e Hitler. Ci sembrava in perfetta salute. La sua morte interruppe il progetto». Quest’ultimo discorso era stato scritto fra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1939, e avrebbe dovuto essere pronunciato di fronte a tutto l’episcopato italiano. Il decennale era l’occasione scelta dal Papa per schierarsi contro il nazismo e lo stesso fascismo: avrebbe fatto cenno alle persecuzioni che avvenivano in Germania, soffermandosi poi sull’attività di spionaggio compiuta dal fascismo nei confronti dei vescovi. Ma all’11 febbraio Pio XI non arrivò: la sera prima fu ucciso da un infarto. Alla sua morte Pacelli, responsabile, come Camerlengo, delle incombenze generali, ordinò che le copie del discorso fossero distrutte assieme alle lastre e ai caratteri di piombo utilizzati per stamparle. Pacelli censurò dunque il suo superiore defunto? L’interrogativo obbliga alla riflessione anche chi sostiene il processo di beatificazione di colui che pochi giornidopo fu eletto Pio XII. Il dato storico è che Pacelli tenne verso il nazifascismo un atteggiamento ben più cauto rispetto all’ultimo Ratti. «Quando sapemmo dell’improvvisa morte alla vigilia del discorso prosegue la professoressa Penco ci angosciò il pensiero che fosse stata provocata. Alle nostre insistenti richieste di spiegazioni e chiarimenti sul documento che avevamo avuto il privilegio di vedere in anteprima, ci fu risposto che non si trovava alcuno scritto. Un dubbio per me mai risolto. La lettura delle nuove carte e di saggi come quello della Fattorini, mi ha convinta a parlare. Spero che possa tornare alla luce, un giorno, quella presa di posizione che fu cancellata in fretta dopo la morte di PapaRatti».
LUCAROLANDI
mi fa piacere vedere pubblicata anche su web questa storia, che avevo già sentito “viva voce” raccontata da mia zia. Fin da ragazzo ho imparato moltissimo dalla sua esperienza e dalla sua drastica capacità di giudizio sulle cose politiche importanti. Non è facile capire chi è vissuto durante il fascismo e la guerra e guarda all’oggi come un periodo decadente. Oggi c’è chi si preoccupa se la propria tesi di laurea non è formattata alla perfezione, mentre lei si preoccupava se la sua tesi si era salvata dal bombardamento che aveva distrutto gran parte della casa dei genitori. E così via.
Dal suo esempio c’è da imparare onestà intellettuale, capacità di dare la giusta importanza alle cose importanti e di dire la verità (cosa ormai quasi obsoleta). Con Pio XII, della cui santità Andreotti si è fatto promotore forse pensando più alla santificazione della capacità diplomatica che dello spessore umano, molti cattolici che oggi sarebbero normalissimi allora venivano scomunicati come “comunisti”: debolezze della chiesa di allora come della chiesa di oggi. Solo che oggi distinguere la moneta buona da quella falsa è più difficile, in mezzo ai tanti luccichii televisivi che attirano tutti, papi compresi.
Da PALAZZO APOSTOLICO Blog di Paolo Rodari, vaticanista de Il Riformista – http://www.paolorodari.com/
Giulio Andreotti ha conosciuto personalmente Pio XII. E al Riformista dice la sua sul processo di beatificazione in corso e sulle polemiche avanzate anche negli ultimi giorni da diversi esponenti ebraici: «Non credo – dice – che sia oggi il caso di fare della beatificazione e canonizzazione di Pacelli una battaglia politica».
Non bisogna parlarne?
Non insisterei troppo. Tanto le polemiche lasciano il tempo che trovano. E passeranno. Al di là delle idee dei diversi settori ebraici, il processo canonico farà il suo corso e dimostrerà quanto chi ha frequentato Pacelli sa da sempre: era un sant’uomo.
Le opinioni degli ebrei non rischiano di bloccare il processo?
Ma no. Si figuri che quando finì lo Stato Pontificio tutti pensavano che le polemiche non si sarebbero mai placate. E invece….
Pacelli aiutò gli ebrei?
Sì. Ricordo un aneddoto. Ne fece rifugiare alcuni nella basilica di San Paolo Fuori le Mura. L’abate, perché non dessero nell’occhio, li fece vestire da monaci. Un giorno uno di questi scese in basilica. Una donna gli chiese: “Padre, mi può confessare?”. “Non posso, non sono digiuno”, rispose. Questo scambio di battute fece il giro di Roma tanto che la polizia, nonostante l’extraterritorialità, si recò in basilica per indagare se vi fossero dei finti monaci. Insomma, è soltanto un ricordo ma che ben testimonia come, nonostante i rischi, Pacelli si adoperava per salvare più vite possibili.
Chi era Pio XII?
Ho di lui un ricordo molto vivo e intenso. Ciò che mi colpiva di più di lui erano gli occhi elettrici e profondi che sprigionavano luce.
Metteva soggezione?
Un po’. Era ieratico. Trasmetteva austerità ma anche regalità. Era insieme sacerdote e sovrano. Non credo che amasse molto i preamboli nelle conversazioni. E poi voleva sempre risposte molto precise.
Dove vi siete conosciuti?
In casa di sua sorella Elisabetta, sposata Rossignani. Abitavamo vicini in via dei Prefetti. Pacelli vi portava del cioccolato per le nipoti. E me lo offriva pure a me sul loro terrazzo. Per la verità, l’allora monsignor Eugenio mi diceva poco. Nella zona di via dei Prefetti ero molto più interessato ai giocatori della Roma che mangiavano da sora Emma.
Oggi si dibatte dell’influsso di Pio XII sul Concilio Vaticano II. L’assise si svolse in continuità con il suo magistero oppure no?
Il Concilio “era” Pio XII. Lo sapeva bene anche Roncalli. Pio XII era un Papa innovatore, seppure attaccato alla tradizione. Per lui la tradizione era una forza a cui aggrapparsi. Insieme non amava le devianze.
Ad esempio?
Una devianza che combatté con forza fu quella dei comunisti cattolici di Franco Rodano. Un giorno la polizia fascista arrestò Rodano perché anti-fascista. Poco tempo dopo Pio XII dovette fare un discorso rivolto agli operai. Gli scrissi: “Per favore, non parli di Rodano. È in prigione e la considererebbe una pugnalata alle spalle”. E, infatti, Pio XII, non ne parlò. Qualche giorno dopo andai col consiglio superiore della Fuci dal Papa. Mi guardò con occhi severi e mi chiese: “Andava bene il discorso?”.
Cosa può dire del predecessore di Pacelli, Pio XI?
A dodici anni mi trovai in un’udienza nell’aula concistoriale. Quando lo vidi rimasi di stucco. Gridava e si mise pure a piangere. Ero atterrito tanto che svenni e finii dietro una tenda bianca. Piangeva perché tutti lo accusavano di aver sbagliato a fare il concordato con Mussolini tanto che, nonostante l’accordo, i circoli cattolici erano ancora perseguitati.
Giovanni XXIII?
Un giorno ci incontrammo a Venezia. Mi trattenne a colazione e mi disse: “Riposati un po’. Ti faccio fare la pennichella nel letto di Pio X”. E così fu.
Paolo VI?
Montini era stato nostro assistente alla Fuci. E, dunque, c’era una certa solidarietà. Ricordo un discorso al Campidoglio in cui disse che fu una provvidenza per la Chiesa la caduta dello Stato Pontificio: piovvero critiche inverosimili.
Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II?
Il primo non feci a tempo a conoscerlo. Wojtyla lo conobbi bene. Quando compii ottant’anni mi chiamò. Pensai fosse lo scherzo di qualcuno e invece era lui. Mi disse: “Non dica ottanta ma dica che è entrato nel nono decennio di vita”.
Infine Ratzinger…
Quando era cardinale venne al Senato. Alla fine tutti dissero: “Abbiamo ascoltato il cardinale Pera e il presidente Ratzinger”. Fece, infatti, un discorso di alta politica. L’ho visto recentemente e mi ha detto: “Lei non invecchia mai”.
La storia renderà giustizia a Pio XII
Intervista a Paolo Mieli apparsa sull’Osservatore Romano
D. – Si parla spesso del dramma di Rolf Hochhuth “Il Vicario” messo in scena per la prima volta il 20 febbraio 1963 al Freie Volksbühne di Berlino. Ma le critiche agli atteggiamenti di papa Pacelli risalgono a molti anni prima. Quando nacque davvero il “problema Pio XII”?
R. – Lo spartiacque è senz’altro la messa in scena del “Vicario”, ma alcune accuse, anche se non si configurarono come quelle di Hochhuth, furono addirittura precedenti l’inizio stesso della seconda guerra mondiale. Il primo a parlare delle titubanze di Pio XII fu infatti Emmanuel Mounier che, nel maggio del 1939, rimproverò garbatamente un silenzio che metteva in imbarazzo migliaia di cuori: quello di Pio XII in merito all’aggressione italiana all’Albania.
Della stessa natura fu il secondo indice puntato da parte di un altro intellettuale cattolico francese, François Mauriac, che nel 1951 lamentò, nella prefazione a un libro di Léon Poliakov, che gli ebrei perseguitati non avessero avuto il conforto di sentire dal papa condanne con parole nette e chiare per la “crocifissione di innumerevoli fratelli nel Signore”. Va d’altra parte ricordato che lo stesso libro – uno dei primi testi importanti sull’antisemitismo – avanzava delle giustificazioni a quei silenzi. In sostanza, scriveva l’ebreo Poliakov, il papa era stato silente per non compromettere la sicurezza degli ebrei in modo maggiore di quanto non fosse già compromessa.
D. – Quindi il primo intervento di uno studioso ebreo sull’argomento fu molto cauto?
R. – Direi di più. A parte Poliakov, le prime valutazioni di esponenti delle comunità ebraiche di tutto il mondo non furono solo caute, ma addirittura calde nei confronti di Pio XII.
D. – Può essere intervenuto in questa cautela il fatto che le vere accuse al papa comincino a venire, già durante la guerra, da parte sovietica?
R. – Certamente Pio XII fu un papa anche – e sottolineo “anche” – anticomunista. E durante questi decenni di polemiche gli è stato spesso rimproverato di essere stato turbato da questa visione. Ricordiamo, ad esempio, due suoi famosi discorsi pronunciati prima di diventare papa, nel corso di due viaggi in Francia (1937) e in Ungheria (1938), in cui venivano sottolineate maggiormente le persecuzioni del regime comunista piuttosto che quelle del regime nazista.
A questo riguardo va però fatta una premessa: la tematizzazione della Shoah come noi oggi la recepiamo è di molti decenni successiva alla fine della seconda guerra mondiale. Io ricordo che negli anni Cinquanta e Sessanta si parlava ancora approssimativamente di deportati nei campi di concentramento. Si sapeva che agli ebrei era toccata la sorte peggiore, ma la piena consapevolezza della Shoah è qualcosa di successivo. Negli anni Trenta, pochissimi avevano l’idea di quello che poteva accadere agli ebrei. Certo, in Germania c’era stata la “notte dei cristalli”. Ma è ovviamente molto più facile leggere e comprendere i fatti oggi, col senno del poi. E gli ebrei fuggiti dalla Germania non furono accolti a braccia aperte in nessuna parte del mondo, neanche negli Stati Uniti. Insomma, fu un problema complesso. Il mondo occidentale, il mondo civile, tranne alcune eccezioni, non capì, non si rese conto di quello che stava accadendo. Perciò quando noi parliamo di un papa alla fine degli anni Trenta, possiamo comprendere che fosse più sensibile alle persecuzioni anticristiane in Unione Sovietica rispetto a quanto stava emergendo nel mondo nazista. Questo non vuol dire che fosse un nazista camuffato.
D. – Anni Trenta: la polemica spesso si sposta anche su Pio XI…
R. – Uno dei rimproveri portati al cardinale Pacelli, segretario di Stato di Pio XI, è stato quello di averne attenuato le condanne del nazionalsocialismo. Tra le tante accuse – secondo me non del tutto giustificate – che ha ricevuto Pacelli c’è stata anche quella di aver smussato, di aver attenuato i toni dell’enciclica “Mit Brennender Sorge”. In realtà, esaminando sotto il profilo storico l’attività di papa Pacelli, ricorderei alcuni particolari. Quando iniziò la guerra egli criticò l’apatia della Chiesa francese sotto la dominazione nazista nella Francia di Vichy; poi criticò l’antisemitismo, quello sì evidente, del monsignore slovacco Josef Tiso; diede – come ben raccontato in un libro di Renato Moro, “La Chiesa e lo sterminio degli ebrei”, Il Mulino – la propria disponibilità e addirittura una mano, con decisione rischiosissima, a dei complotti contro Hitler tra il 1939 e il 1940. Continuo: quando nel giugno 1941 l’Unione Sovietica fu invasa dalla Germania, c’era una certa resistenza nel mondo occidentale a stringere accordi con chi fino a quel momento aveva combattuto la guerra dalla parte della Germania nazista. Pio XII invece si diede molto da fare per facilitare un’alleanza fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica.
E infine il capitolo più importante: durante l’occupazione nazista di Roma – come raccontato ad esempio in due libri, quello famoso di Enzo Forcella (“La resistenza in convento”, Einaudi) e l’altro appena uscito di Andrea Riccardi (“L’inverno più lungo”, Laterza) – la Chiesa mise a disposizione tutta se stessa: quasi ogni basilica, ogni chiesa, ogni seminario, ogni convento ospitò e diede una mano agli ebrei. Tant’è che a Roma, a fronte dei duemila ebrei deportati, diecimila riuscirono a salvarsi. Ora, non voglio dire che tutti quei diecimila li salvò la Chiesa di Pio XII, però senz’altro la Chiesa contribuì a salvarne la maggior parte. Ed è impossibile che il papa non fosse a conoscenza di quello che facevano i suoi preti e le sue suore. Il risultato fu che per anni, anni e anni – ci sono decine di citazioni possibili – personalità importantissime del mondo ebraico hanno riconosciuto questo merito intestandolo esplicitamente a Pio XII.
Di queste testimonianze si è persa ormai quasi traccia. Ne ha parlato, ad esempio, un bel libro di Andrea Tornielli (“Pio XII il papa degli ebrei”, Piemme). È una letteratura molto vasta di cui vorrei fornire qualche scampolo. Nel 1944 il gran rabbino di Gerusalemme, Isaac Herzog, dichiara: “Il popolo d’Israele non dimenticherà mai ciò che Pio XII e i suoi illustri delegati, ispirati dai principi eterni della religione che stanno alla base di un’autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sventurati fratelli e sorelle nell’ora più tragica della nostra storia. Una prova vivente della divina provvidenza in questo mondo”.
Nello stesso anno, il sergente maggiore Joseph Vancover scrive: “Desidero raccontarvi della Roma ebraica, del gran miracolo di aver trovato qui migliaia di ebrei. Le chiese, i conventi, i frati e le suore e soprattutto il pontefice sono accorsi all’aiuto e al salvataggio degli ebrei sottraendoli agli artigli dei nazisti, e dei loro collaborazionisti fascisti italiani. Grandi sforzi non scevri da pericoli sono stati fatti per nascondere e nutrire gli ebrei durante i mesi dell’occupazione tedesca. Alcuni religiosi hanno pagato con la loro vita per quest’opera di salvataggio. Tutta la Chiesa è stata mobilitata allo scopo, operando con grande fedeltà. Il Vaticano è stato il centro di ogni attività di assistenza e salvataggio nelle condizioni della realtà e del dominio nazista”.
Cito poi da una lettera dal fronte italiano del soldato Eliyahu Lubisky, membro del kibbutz socialista Bet Alfa. Fu pubblicata sul settimanale “Hashavua” il 4 agosto 1944: “Tutti i profughi raccontano il lodevole aiuto da parte del Vaticano. Sacerdoti hanno messo in pericolo le loro vite per nascondere e salvare gli ebrei. Lo stesso pontefice ha partecipato all’opera di salvataggio degli ebrei”.
Ancora, 15 ottobre 1944. Registriamo la relazione del commissario straordinario delle comunità israelitiche di Roma, Silvio Ottolenghi: “Migliaia di nostri fratelli si sono salvati nei conventi, nelle chiese, negli extraterritoriali. In data 23 luglio ho avuto l’ordine di essere ricevuto da Sua Santità al quale ho portato il ringraziamento della comunità di Roma per l’assistenza eroica e affettuosa fattaci dal clero attraverso i conventi e i collegi… Ho riferito a Sua Santità il desiderio dei correligionari di Roma di andare in massa a ringraziarlo. Ma tale manifestazione non potrà essere fatta che alla fine della guerra per non pregiudicare tutti coloro che al nord hanno ancora bisogno di protezione”.
D. – Questo a guerra ancora in corso. Veniamo a oggi…
R. – Oggi purtroppo l’attenzione su Pio XII è talmente forte che anche un normale dibattito storiografico s’incendia.
D. – La questione scotta a tal punto che ancora c’è il problema della fotografia di Pio XII a Yad Vashem e della sua didascalia. Nonostante la massa di testimonianze appena accennate. Cos’è successo?
R. – È successo che nel corso degli anni si è diffusa la leggenda nera di Pio XII. Ricordiamo i libri di John Cornwell (“Hitler’s Pope [Il papa di Hitler]”) e di Daniel Goldhagen (“Hitlers willige Vollstrecker [I volenterosi carnefici di Hitler]”) dove queste accuse si fanno più esplicite. Si è formato un senso comune per cui Pio XII viene visto come un pontefice addirittura complice del Führer nazista. Una cosa pazzesca! E pensare che al processo Eichmann nel 1961 fu espresso un giudizio sul papa che vale la pena rileggere. A parlare è Gideon Hausner, procuratore generale di Stato a Gerusalemme: “A Roma il 16 ottobre 1943 fu organizzata una vasta retata nel vecchio quartiere ebraico. Il clero italiano partecipò all’opera di salvataggio, i monasteri aprirono agli ebrei le loro porte. Il pontefice intervenne personalmente a favore degli ebrei arrestati a Roma”.
D. – Solo due anni prima della rappresentazione del “Vicario”…
R. – Ed è proprio dal 1963 che prende piede una revisione del ruolo di Pio XII di due tipi. Uno malizioso – interno alla Chiesa stessa – che contrapponeva a Pio XII la figura di Giovanni XXIII. Fu un’operazione devastante: si è trattato Giovanni XXIII come un papa che avrebbe avuto nel corso della seconda guerra mondiale quelle sensibilità che invece Pio XII non aveva avuto. Una tesi molto bizzarra. E tra le righe delle invettive contro Pacelli, sembra emergere che al pontefice sia stato presentato il conto per il suo anticomunismo. In realtà Pio XII è stato un papa in linea con la storia della Chiesa cattolica del Novecento. Se si legge quello che ha scritto o si ascoltano in registrazione i suoi discorsi ci si rende conto come espresse, ad esempio, anche critiche al liberalismo. Voglio dire che non era affatto un alfiere dell’atlantismo anticomunista.
D. – Non era cioè il cappellano dell’Occidente…
R. – Assolutamente no. L’immagine di Pio XII come il cappellano della grande offensiva anticomunista nella guerra fredda è fuorviante. Anche se, naturalmente, era anticomunista. E di questo anticomunismo gli è stato presentato un conto salatissimo che ne ha deformato l’immagine attraverso rappresentazioni teatrali, pubblicazioni e film. Ma chiunque abbia un atteggiamento non pregiudiziale e provi a conoscere Pacelli attraverso i documenti, non può che rimanere stupito di questa leggenda nera che non ha alcun senso. Pio XII è stato un grande papa, all’altezza della situazione. È come se oggi rinfacciassimo a Roosevelt di non aver detto parole più chiare nei confronti degli ebrei. Ma come si può sindacare all’interno di una guerra e in più per una personalità disarmata com’è un papa? La speciosità di questa offensiva nei confronti di Pio XII appare davvero sospetta a qualsiasi persona in buona fede ed è una speciosità a cui è doveroso opporre resistenza. Prima o poi ci sarà pure qualcuno che rileggerà i fatti alla luce anche delle testimonianze cui accennavo prima.
D. – Ci sono differenze fra la storiografia europea, in particolare italiana, e quella americana su Pio XII?
R. – Secondo me sì. Non dobbiamo dimenticare che questa avversione nei confronti di Pio XII è nata nel mondo anglosassone e protestante. Non è nata nel mondo ebraico che, invece, si è adattato nel tempo per non essere preso in contropiede da una campagna internazionale. Ovvero: se un papa viene accusato di aver lasciato correre l’antisemitismo, ovviamente il mondo ebraico si sente impegnato a vederci chiaro. Si arriva così all’episodio della settima sala dello Yad Vashem a Gerusalemme dove è apparsa una fotografia del papa con una didascalia che definisce “ambiguo” il suo comportamento. Oppure alla richiesta, nel 1998, da parte dell’allora ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Aaron Lopez, di una moratoria nella beatificazione di Pio XII. Ora, in questa storia della moratoria io non entro perché non è un problema storiografico. Però c’è qualcosa di eccessivamente pervicace nei confronti di questo papa e puzza di bruciato lontano un miglio.
È dal 1963 che sono stati accesi i riflettori su Pio XII alla ricerca delle prove della sua colpevolezza e non è venuto fuori niente. Anzi, gli studi hanno portato alla luce una documentazione molto copiosa che attesta come la sua Chiesa diede agli ebrei un aiuto fondamentale. Mi ricordo a questo proposito un gesto molto bello: nel giugno 1955 l’Orchestra Filarmonica d’Israele chiese di poter fare un concerto in onore di Pio XII in Vaticano per esprimere gratitudine a questo papa e suonò alla presenza del papa un tempo della settima sinfonia di Beethoven. Questo era il clima. E allorché il papa morì, Golda Meir – ministro degli esteri d’Israele e futuro premier – disse: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata in favore delle vittime. Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”. La voce del pontefice per qualcuno non si era levata, ma loro l’avevano udita. Capito? Golda Meir aveva udito la sua voce. E William Zuckermann, direttore della rivista “Jewish Newsletter”, scrisse: “Tutti gli ebrei d’America rendano omaggio ed esprimano il loro compianto perché probabilmente nessuno statista di quella generazione aveva dato agli ebrei più poderoso aiuto nell’ora della tragedia. Più di chiunque altro noi abbiamo avuto il modo di beneficiare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto pontefice durante gli anni della persecuzione e del terrore”. Così è stato considerato Pio XII per anni, per decenni. Erano forse tutti pazzi? No, anzi, erano coloro che avevano subito le persecuzioni di cui Pio XII è incolpato come complice. Se noi lo prendiamo come un caso storiografico, quello della leggenda nera è pazzesco. Però io penso che, a parte qualche polemista, ogni storico degno di questo nome si batterà – anche nel caso di persone come me che non sono cattolico – per ristabilire la verità.
D. – Cosa è emerso fino a oggi dalla storiografia israeliana? C’è stata un’evoluzione nel giudizio degli storici? È ancora oggi acceso un dibattito su Pio XII?
R. – Direi che la storiografia israeliana è molto trattenuta. In realtà il caso è ancora aperto per la pervicacia di un altro mondo che non è il mondo ebraico. Secondo me vanno considerati tre aspetti. Prima di tutto Pio XII paga il conto per il suo anticomunismo. Secondo: questo papa conosceva bene la Germania e aveva avuto un atteggiamento filotedesco che, attenzione, non vuol dire filonazista. Infine va detto che le critiche a Pio XII provengono sempre da mondi nei confronti dei quali le critiche potrebbero essere dieci volte tanto. Mondi che nel corso della Shoah non seppero dare una presenza neanche lontanamente vicina a quella che loro rimproverano a Pio XII di non avere avuto.
D. – Vuole farci qualche esempio?
R. – Penso a quanto è accaduto in Francia, in Polonia, ma anche negli stessi Stati Uniti. Ragioniamo: la tesi di coloro che accusano Pio XII è che tutti sapevano e che comunque si poteva sapere. Io allora vi chiedo: chi ricordiamo, durante la seconda guerra mondiale, tra le personalità di questi mondi che abbiano levato la sua voce nella maniera in cui si rimprovera al papa di non averlo fatto? Io non ne conosco.
D. – Fa riferimento anche agli antifascisti italiani?
R. – Assolutamente sì. Ma insomma: chi può essere indicato come qualcuno che ha fatto per gli ebrei qualcosa che il papa non ha fatto? Io non ne conosco. Ci saranno casi singoli, come ci sono stati casi singoli di alti prelati della Chiesa. Almeno, questo papa tutto ciò che era nelle sue possibilità lo ha fatto. Ha consentito a diecimila ebrei che stavano a Roma – ma è successo anche in altre parti d’Italia – di salvarsi rispetto ai duemila che invece sono stati uccisi. Non capisco quale dovrebbe essere il termine di paragone. Allora credo si possa ipotizzare che queste critiche, queste invettive, partano da mondi che non hanno la coscienza in ordine rispetto a questo problema.
D. – La leggenda nera è quindi un caso di cattiva coscienza?
R. – Direi di sì. Non si spiega altrimenti. La verità è che l’odio per Pio XII nacque in un contesto preciso, quello dell’inizio della guerra fredda. Ricordiamo che fu il papa che rese possibile in Italia la vittoria della Democrazia Cristiana nel 1948. Io sono convinto che le accuse nei suoi confronti siano lo spurgo di un odio nato nella seconda metà degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta. La letteratura ostile a Pio XII è successiva alla fine della guerra. In Italia, parte dopo la rottura del governo di unità nazionale del 1947 e matura durante tutti gli anni Cinquanta in modo più acceso. Tutto questo deposito di odio o di forte avversione è emerso in anni successivi. Del resto, se fosse venuto alla luce immediatamente, gli ebrei che avevano avuto la vita salva per merito di questa Chiesa, non avrebbero consentito che si dicesse e si scrivesse quanto è stato detto e scritto. Essendo venuto fuori venti o trent’anni dopo, tutti i testimoni, tutti coloro che erano stati salvati – stiamo parlando di migliaia di persone – non c’erano più e la nuova generazione dei loro figli assorbì quelle accuse. E infatti chi ha fatto e fa resistenza a queste accuse? Gli storici.
D. – Per di più si sono poi aggiunte le voci dei cattolici che hanno contrapposto a Pio XII il suo successore, Giovanni XXIII.
R. – Infatti credo che l’avvio delle cause di beatificazione dei due papi sia stato annunciato contemporaneamente non certo per caso. Del resto quando Paolo VI andò in Terra Santa nel 1964 e parlò in termini molto caldi di Pio XII, non ci furono grandi proteste. Nessuno protestò. Ed era già partita l’operazione “Vicario”. Le accuse sembravano incredibili. Successivamente la valanga è venuta crescendo a mano a mano che scompariva la generazione dei testimoni diretti. Io comunque penso che a Pio XII sarà resa giustizia dagli storici.
D. – Abbiamo accennato ai cattolici. “La Civiltà Cattolica” ha scritto che Pio XII non ebbe voce di profeta. Non si tratta di un giudizio un po’ anacronistico? Forse il pontefice sarebbe dovuto andare il 16 ottobre 1944 nel ghetto come era andato nel quartiere bombardato di San Lorenzo poche settimane prima?
R. – Sinceramente, quella parte di sangue ebraico che corre nelle mie vene mi fa preferire un papa che aiuta i miei correligionari a sopravvivere, piuttosto di uno che compie un gesto dimostrativo. Un papa che va in un quartiere bombardato è un papa che piange sulle vittime, compie un gesto di calore e affetto per la città, mentre controversa poteva essere la sua presenza nel ghetto. Certo, col senno di poi si può dire di tutto, anche – come è stato scritto – che sarebbe stato giusto che si fosse buttato sulle rotaie per impedire ai treni di partire. Io penso però che si tratti di giudizi espressi alla leggera. E poi, sinceramente, su questi argomenti, rimproverare un altro di non aver fatto ciò che nessuno dei tuoi ha fatto, è un po’ azzardato. A me infatti non risulta che esponenti della Resistenza antinazista romana siano andati al ghetto o si siano buttati sulle rotaie. Sono discorsi veramente poco sereni.
D. – Sulla polemica all’interno del cattolicesimo il rabbino David Dalin è arrivato a scrivere che Pio XII è il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre per usarlo come arma contro i tradizionalisti…
R. – L’aspetto più sconveniente, ma a me evidente (anche se lo giudico dal di fuori), è che questa battaglia nel mondo cattolico che contrappone le figure di Giovanni XXIII e di Pio XII non è molto coraggiosa, perché nessuno la fa a volto scoperto. Non c’è un libro o un articolo di un rappresentante autorevole del mondo cattolico che dica chiaramente Giovanni XXIII sì e Pio XII no. È una battaglia condotta tra le righe, fatta di sottigliezze. Il discorso per me è semplice: o si è davvero convinti che Pio XII sia stato un papa complice del nazismo, oppure se le cose stanno nei termini discussi in questa intervista, allora certa gente dovrebbe rendersi conto che questi argomenti contribuiscono solo alla persistenza della leggenda nera su questo papa. Si noti bene: io credo che questa leggenda nera abbia i tempi contati. Pio XII non sarà un papa segnato da una “damnatio memoriae”.
D. – Perché dice questo?
R. – Proprio dal punto di vista storico le evidenze a favore sono tali e tante, e la mancanza di evidenze contrarie è così ampia che questa offensiva contro Pio XII è destinata a esaurirsi.
D. – Un’ultima domanda sull’atteggiamento di Pio XII. Come si possono ricostruire i caratteri del suo silenzio operoso nei confronti della Shoah?
R. – Io ho pensato molto spesso a Pio XII provando a immaginare che tipo di personalità fosse. È stato paragonato a Benedetto XV, il papa della prima guerra mondiale. Ma la seconda guerra mondiale è stata molto diversa. Sicuramente Pacelli è stato una persona tormentata, che ha avuto dei dubbi. Lui stesso si soffermò nel 1941 sul proprio “silenzio”. Si è trovato in un crocevia terribile che ha messo in discussione alcuni suoi convincimenti. Poi ha avuto un periodo successivo alla guerra molto lungo, fino al 1958, in cui ha continuato a essere un papa forte, presente, importante, decisivo per la ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra. Forse è stato il papa più importante del Novecento. Fu sicuramente tormentato da dubbi. Sulla questione del silenzio, come ho detto, si è interrogato. Ma proprio questo mi dà l’idea di una sua grandezza.
Tra l’altro mi ha molto colpito un fatto. Una volta finita la guerra, se Pio XII avesse avuto la coscienza sporca, si sarebbe vantato dell’opera di salvezza degli ebrei. Lui invece non l’ha mai fatto. Non ha mai detto una parola. Poteva farlo. Poteva farlo scrivere, farlo dire. Non lo ha fatto. Questa è per me la prova di quale fosse lo spessore della sua personalità. Non era un papa che sentiva il bisogno di difendersi. Per quanto riguarda il giudizio su Pio XII, devo dire che mi è rimasto nel cuore quanto scrisse nel 1964 Robert Kempner, un magistrato ebreo di origini tedesche, numero due della pubblica accusa al processo di Norimberga: “Qualsiasi presa di posizione propagandistica della Chiesa contro il governo di Hitler sarebbe stata non solamente un suicidio premeditato, ma avrebbe accelerato l’assassinio di un numero ben maggiore di ebrei e sacerdoti”.
Concludo: per vent’anni i giudizi su Pio XII sono stati unanimemente condivisi. Secondo me, allora, nell’offensiva contro di lui i conti non tornano. E chiunque si accinge a studiarlo con onestà intellettuale deve partire proprio da questo. Dai conti che non tornano.
Quanto detto da Robert Kempner rivela le difficoltà di un intelligente antieroe che merita tutto il nostro rispetto.
Alla mostra berlinese su Pio XII
Rolf Hochhuth a lezione di storia
di Raffaele Alessandrini
È straordinaria, oltre ogni attesa, l’accoglienza che la mostra vaticana su XII (inaugurata a Berlino il 22 gennaio) sta riscuotendo in Germania. Basti solo pensare alla presenza reiterata di Rolf Hochhuth, il drammaturgo autore della famigerata pièce teatrale Il Vicario (Der Stellvertreter) che per ben due volte – in sede di allestimento, e, successivamente, seguito dalle telecamere della squadra del canale televisivo 3 Sat – ha visitato le sette sale dell’esposizione ospitata, con magistrale allestimento, nel castello settecentesco di Charlottenburg. “Le reazioni di Hochhuth, specialmente la prima volta, sono state piuttosto vivaci e rumorose. Ma bisogna capirlo. Ci ha guadagnato tanto con quel lavoro…”. A parlare è monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche di ritorno dalla capitale tedesca dove la mostra su Papa Pacelli si protrarrà fino al 7 marzo.
Sui giornali l’eco dell’avvenimento è vastissima e sostanzialmente commentata in termini oggettivamente positivi. Il “Bild” del 25 gennaio, ad esem, saluta a caratteri cubitali “il Papa che venne da Berlino” e definisce “eccezionale” l’esposizione di Charlottenburger Schloss. Solo il quotidiano di sinistra “Die Taz” parla di una mostra che esprime il “trionfo della reazione”. Ma osserva sorridendo monsignor Brandmüller che “sempre di trionfo si tratta”.
Rispetto all’esposizione presentata a suo tempo a Roma, presso il Braccio di Carlo Magno in Vaticano, l’allestimento berlinese – che, come tiene a sottolineare monsignor Brandmüller, dispone di accorgimenti eccellenti e metodi di climatizzazione e di sicurezza avanzatissimi – presenta due varianti. Nella prima sala sono proposte tre lettere di personaggi di rilievo per la storia della Germania contemporanea che, pur non essendo cattolici, mostrano profonda ammirazione nei confronti di Papa XII. Anzitutto Ernst Reuter (1889-1953), borgomastro di Berlino che nel dopoguerra indirizza una missiva di congratulazioni per il Papa elogiandolo e, ricordando la sua attività, stabilisce che una strada venga a lui intitolata. Se a Dahlem, nel distretto di Steglitz-Zehlendorf oggi c’è Pacelliallee lo si deve infatti a Reuter.
C’è poi uno scritto del futuro cancelliere Willy Brandt (1913-1992), che in occasione della morte di XII, esprimendo altissima stima per il suo pontificato, volle sottolineare il lutto della nazione facendo porre le bandiere a mezz’asta a Berlino, dov’era allora borgomastro. Colpisce inoltre la lettera del vescovo evangelico Otto Dibelius (1880-1967), che si dichiara impressionato dalla spiritualità e dall’umiltà del Papa romano, autentico e affabile, nonostante il fastoso apparato esteriore delle cerimonie vaticane.
È nota del resto – ricorda anche monsignor Brandmüller rispondendo a una nostra domanda – la povertà assoluta di Papa Pacelli che riutilizzava sempre abiti e paramenti dei predecessori. “Sono esposte le sue scarpe, rotte, e la stessa tiara, che tanto colpisce l’attenzione dei visitatori, è quella appartenuta a Pio IX”. Papa Pacelli viveva in sobria e decorosa povertà.
Ma la novità che colpisce maggiormente il pubblico tedesco è nella settima e ultima sala ove campeggia una grande scritta: “Il silenzio del Papa”. Al centro del locale si erge un busto bronzeo di Pio XII di fronte al quale è situato lo storico microfono dei radiomessaggi prestato dalla Radio Vaticana. La scena è completata dal nastro registrato, e tradotto in lingua tedesca, del Radiomessaggio per il Natale del 1942.
Auspicando, nel pieno della tragedia bellica, un futuro ordine interno delle nazioni nella pace fondata sulla giustizia, Papa Pacelli in quel messaggio ribadiva come scopo essenziale della vita sociale debba essere la dignità della persona. A tal fine vanno condannate le ideologie che separano la legge dalla morale o rivendicano a particolari nazioni o razze o classi un istinto giuridico superiore e inappellabile o divinizzano lo Stato e chi lo rappresenta. Il dovere di rinnovarsi nella giustizia e nell’amore l’umanità lo deve però anche “alle centinaia di migliaia di persone le quali – diceva Pio XII senza veruna colpa propria, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento”.
Mentre scorre la registrazione del messaggio sotto i vetri delle bacheche spiccano da un lato la collezione intera dei volumi degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (1939-1945) e dall’altro lato una copia del volume di Rolf Hochhuth: la fonte storica e la leggenda nera.
(©L’Osservatore Romano – 29 gennaio 2009)
EUROPA, 18-02-2009
Lo storico Wolf rilegge le carte cercando una spiegazione alle ambiguità
Pio XII assolto con qualche riserva
ANGELO PAOLUZI
«Forse la più pericolosa eresia dei tempi nostri». 1924, il giudizio sul nascente nazionalsocialismo (ancor prima della pubblicazione, nel 1925, di Mein Kampf di Adolf Hitler) è contenuto in una lettera del Nunzio a Monaco di Baviera, monsignor Eugenio Pacelli, al segretario di stato cardinale Pietro Gasparri.
Viene fuori dagli archivi vaticani, aperti nel 2003, e attentamente spulciati (con qualche noia accademica di troppo) da Hubert Wolf, storico tedesco. Se ne consegnano i risultati nel saggio Il Papa e il diavolo – sottotitolo “Il Vaticano e il Terzo Reich” – che l’editore Donzelli, in contemporanea con la casa bavarese C.H. Beck, ha pubblicato nel 2008 (Roma, 324 pagine, 30 euro).
Resta appiccicato alla diligente rievocazione qualche residuo di luoghi comuni che si trascinano da decenni sul “papa tedesco” e sui “silenzi” di Pio XII. Ma si tratta di ipotesi personali che vengono proposte al di là dalla storiografia, mentre invece parlano le carte, i cui risultati concreti lo studioso onestamente allinea. Così, ricerca dopo ricerca, libro dopo libro si dispongono i tasselli di una ricostruzione, utile nell’ottantesimo anniversario da quel 1939 tragico per l’Europa e per il mondo, che dissipi ombre, supposizioni e pregiudizi.
Certo, il rapporto fra il Vaticano e il Terzo Reich è stato complesso, non senza qualche ambiguità da parte cattolica (vescovi che facevano il saluto nazista se ne sono visti, come del resto si sono visti frati italiani gagliardamente fascisti). Tuttavia non bisogna dimenticare, come si fa spesso, che mentre i grandi di questa terra mendicavano comprensione da Hitler, l’unica solenne condanna del regime razzista hitleriano venne dalla Santa sede, con l’enciclica Mit brennender Sorge – «con bruciante preoccupazione » –. Mussolini riceveva il dittatore tedesco in pompa magna (e Pio XI lasciava Roma per protesta). Il premier inglese Neville Chamberlain faceva la spola con il cappello in mano fra Bad Godesberg e Berchtesgaden. Il francese Edouard Daladier cedeva, a Monaco, la sovranità della Cecoslovacchia. Viaceslav Molotov firmava il patto russo-tedesco per lo smembramento della Polonia. E la stampa nazista, al momento dell’elezione di Eugenio Pacelli a papa della Chiesa di Roma, scriveva che non poteva certo essere considerato un amico della Germania.
Il saggio di Wolf segue, come abbiamo detto, la carriera di Pacelli con ricchezza di particolari, prima come Nunzio in Baviera e successivamente a Berlino, poi come cardinale segretario di stato, e si arresta alla morte di Pio XI, cioè alla vigilia dell’elezione a pontefice. L’autore cerca una spiegazione dei comportamenti di Pio XII per quanto riguarda la sorte degli ebrei e l’Olocausto, e scava nel passato (con qualche azzardo di interpretazione psicologica). Alla fine però, come dati sicuri, si trovano soltanto riserve e condanne del neopaganesimo hitleriano, accanto a prudenze diplomatiche.
Che non avranno impedito, però, la pubblicazione della Mit brennender Sorge (nella quale si trova la mano dell’esperto di cose tedesche) e per il libro di testo dell’ideologia nazista, Il mito del XX secolo di Alfred Rosenberg, la messa all’indice: un’iniziativa certamente passata con l’approvazione del meticoloso segretario di stato.
Del resto lo studioso qualche dubbio lo coltiva. Come quando, nelle ultimissime pagine, ammette che «si è alla disperata ricerca di una spiegazione dell’atteggiamento tenuto dai pontefici riguardo alla persecuzione nazista degli ebrei e dell’Olocausto ». E che, per svolgere un lavoro di ricerca rigoroso «saranno ancora necessari degli anni – se non dei decenni – di intenso studio negli archivi». In attesa, l’allora ambasciatore inglese presso la Santa Sede, sir Ivone Kirkpatrick, informa in un rapporto al suo governo (estate 1933, cioè dopo la presa del potere di Hitler) che «il cardinale Pacelli criticò la politica interna del governo tedesco, la persecuzione degli ebrei, le loro azioni contro gli avversari politici, il regime di terrore a cui tutta la nazione deve sottostare». Averlo detto a un diplomatico non è lo stesso che tacere.
E in precedenza Pio XI aveva definito il nazismo come «mendacium incarnatum», la menzogna incarnata, cioè una delle caratteristiche di Satana. Il titolo del libro di Wolf è più che allusivo a una valutazione del genere, contenuta nel consiglio dato a Papa Ratti dall’arcivescovo di Friburgo, monsignor Conrad Groeber, che cioè non fosse opportuno inserire nell’Indice anche Mein Kampf di Hitler, sia perché si trattava di un capo di stato (non lo si era fatto neppure per Stalin), sia perché le affermazioni del pontefice provavano «a sufficienza come la nostra Chiesa abbia condannato questo movimento come satanico».
La tesi che adombra in Hitler una sorta di Anticristo e largamente sostenuta da teologi. Uno di loro, il benedettino tedesco Alois Mager, scrisse che il tiranno e i suoi seguaci sembrano una reincarnazione del Maligno e della sua coorte di angeli ribelli; «Mai – affermò – menzogna e omicidio furono attuati per se stessi, come forza motrice della vita di tutto un popolo, attuati con fredda premeditazione, con calcolo senza passione, e perseguiti con tanto fanatismo, come nel nazionalsocialismo». Il giudizio è contenuto in un’opera collettiva, Satana, pubblicata, con tanto di imprimatur, da Vita e Pensiero nel 1953. Anche il vescovo ausiliare di Monaco, mons. Johannes Neuhaeusler, aveva trascorso nel Lager di Dachau un lungo periodo di detenzione: in uno dei migliori testi dedicati ai preti imprigionati, La Croce e la croce uncinata, dice senza mezzi termini che «Satana e il nazionalsocialismo sono legati l’uno all’altro ». Un’opinione analoga è stata difesa a suo tempo da Giuseppe Dossetti nel commentare le stragi di civili effettuate in Italia dagli invasori tedeschi. Non sarà dottrina di fede, ma qualche indizio rimane.
18 Luglio 2009
INTERVISTA
Hesemann: «Chiesa, troppe leggende nere»
L’imbarazzo è solo nella scelta, ora che l’anti-cattolicesimo è diventato à la page con i successi di Dan Brown e l’anti-clericalismo ha assunto toni colti con i tomi di Corrado Augias. Ma per Michael Hesemann, storico tedesco, è ora di rilanciare la palla nel campo delle critiche prevenute alla Chiesa e smascherare l’anticattolicesimo, «l’antisemitismo degli intellettuali». Hesemann, già autore di un saggio sull’iscrizione della croce di Cristo, Titulus Crucis , che fece discutere gli esperti, torna ora in libreria con Contro la Chiesa. Miti, leggende nere e bugie (San Paolo, pp. 374, euro 28). Qui lo studioso di Düsseldorf sviscera le ‘leggende nere’ sul conto dei cattolici lungo gli ultimi due millenni di storia.
Le ‘stragi’ delle Crociate, le ‘violenze’ dell’Inquisizione, la ‘caccia alle streghe’, Pio XII come ‘il Papa di Hitler’. Qual è, tra queste, l’accusa più inverosimile rivolta alla Chiesa?
«La ‘leggenda nera’ che ancora causa un danno considerevole è la pretesa che Pio XII fosse ‘il Papa rimasto silenzioso durante l’Olocausto’ oppure ‘il Papa di Hitler’. Non si può immaginare una peggior distorsione della verità. Prima di diventare Pio XII, Eugenio Pacelli fu nunzio vaticano a Monaco e Berlino, fu testimone dell’ascesa al potere di Hitler. Come Segretario di Stato della Santa Sede portò avanti i negoziati per il Concordato con i nazisti nel 1933. Quest’uomo diventato papa nel ’39 – conosceva Hitler e i nazisti, ne era disgustato fin dall’inizio. Egli definì il nazismo ‘la più grande eresia del nostro tempo’ e bollò Hitler come ‘una persona fondamentalmente cattiva’».
Si può parlare di Pio XII come amico del popolo ebraico?
«Da sempre fu a favore degli ebrei. A scuola aveva un amico ebreo e si univa alla sua famiglia per lo Shabbat. Appoggiò il leader sionista Nahum Sokolov e mostrò simpatia per il sionismo quando la maggior parte degli esponenti vaticani erano scettici su questo. Da nunzio in Germania aveva aiutato gli ebrei già durante la prima guerra mondiale. Quando, divenuto Pio XII, apprese l’uccisione degli ebrei da parte dei nazisti, ‘gridò come un bambino e pregò come un santo’, come disse un prete che lo informò dei fatti. Cercò di fare ogni cosa umanamente possibile per salvare quanti più ebrei. Secondo il diplomatico e storico israeliano Pinchas Lapide, fu capace di aiutare 850 mila ebrei a sfuggire al genocidio nazista. Quando il Vaticano era a corto di soldi, prese in considerazione l’idea di vendere i migliori capolavori di Raffaello per aiutare i rifugiati ebrei. Dopo la guerra quasi ogni organizzazione ebraica e molti politici israeliani lo ringraziarono per quanto fatto. Ma un commediografo tedesco (Rolf Hochhuth, ndr) costruì un’opera terribile ( Il Vicario , ndr) e così l’immagine pubblica di Pio XII cambiò completamente. Il Papa che aveva sfidato Hitler divenne improvvisamente il ‘Papa amico di Hitler’».
In Italia ci sono libri – come quelli di Augias – che vogliono distruggere la verità storica del cristianesimo. Come devono rispondere i cristiani a questi attacchi?
«Augias è un esempio perfetto di autore scandalistico. Certo, è facile ignorarlo, ma è la strategia sbagliata, dal momento che i lettori di quei testi potrebbero credere che abbiamo qualcosa da nascondere. Invece credo in una prassi dell’apertura. La peggior bugia sulla Chiesa primitiva e la sua tradizione è affermare che i Vangeli sono stati manipolati. Niente può essere più lontano dalla verità. Ogni volta che un nuovo frammento di una copia originaria del II o del III terzo dei quattro Vangeli canonici è stata rinvenuta, gli esperti sono rimasti stupiti dal fatto che vi hanno trovato meno variazioni rispetto al testo già conosciuto. I Vangeli sono i testi dell’antichità meglio conservati: nessun autore antico ha una tradizione migliore. La maggior parte dei lavori dei classici greci e romani, scrittori, storici o filosofi, sono conservati in traduzioni arabe dei primi secoli del Medioevo o in copie conservate nei monasteri medievali, scritti forse un migliaio di anni dopo. Nel caso dei Vangeli, meno di un secolo separar i loro autori dai manoscritti più antichi».
Lo studioso Philip Jenkins (anglicano) ha definito l’anti-cattolicesimo ‘l’ultimo pregiudizio accettabile’. Come mai persistono tante critiche contro la Chiesa?
«’L’anti-cattolicesimo è l’antisemitismo degli intellettuali’, scrisse lo scrittore americano Peter Viereck nel 1950: è ancora vero. Questo è il solo pregiudizio non solo tollerato ma anche praticato su ampia scala nei media. Attacca la Chiesa e scrivi un best-seller: questa è la formula di autori come Dan Brown, David Yallop, Donna Cross o John Cornwell. Molti vogliono vedere la caduta della Chiesa: la sua esistenza è una provocazione al mondo moderno. Essa non sembra idonea in una società edonistica, basata sull’egoismo, sul sesso e sul consumismo. È come una roccia, insegna valori eterni in contrasto con il trend libertino del ‘tutto è lecito’. Essa tramanda una cultura della vita e della responsabilità in contrasto con quella che propugna la morte e il profitto. Benedetto XVI ha ragione quando indica nel relativismo la sfida più grande per la Chiesa nel III millennio. Esso è il credo della società del divertimento senza scopo».
Lorenzo Fazzini
[…] che non si trovava alcuno scritto” (Articolo-intervista di Luca Rolandi per Il Secolo XIX in https://channelman.wordpress.com/2008/09/26/pio-xi-pio-xii-e-le-leggi-razziali/ […]
[…] Pio XI – Pio XII e le leggi razziali September 2008 8 comments […]