‘Non solo carità ma atti di denuncia’
Repubblica – 17 gennaio 2009
Stefano Zamagni, economista all’ Università di Bologna, cattolico, profondo conoscitore del “terzo settore”, secondo lei è compito della Chiesa intervenire sugli effetti di questa crisi?
«Chi si stupisce, chi parla di sovrapposizioni, non conosce la storia della Chiesa. I primi interventi di sostegno sociale risalgono alla patristica, al IV secolo. Nell’ Ottocento le Casse rurali furono fondate da parroci che intuivano il bisogno, diremmo ora, di microcredito delle fasce più deboli del mondo agricolo. Non c’ è nulla di nuovo».
Ma non è più la carità tradizionale della Chiesa questa, è un sistema di ammortizzatori sociali. Non è compito di altri?
«Il problema infatti nasce da quando lo Stato s’ è inventato il welfare, cioè relativamente da poco. Io penso che la Chiesa sarebbe felice di lasciare l’ onere dell’ assistenza al welfare state, se fosse in grado di mantenere la sua grande promessa di coprire davvero tutti i bisogni. Purtroppo non è così, e questa crisi lo dimostra».
In che modo?
«Il welfare state nasce come riparazione dei guasti dello sviluppo economico in società emergenti com’ era l’ Europa del dopoguerra. Di fronte alla crisi di oggi, che è una crisi da società avanzata, il suo schema generalista e indifferenziato non riesce ad arrivare là dove serve, alle mille crisi intermedie fra benessere e povertà assoluta. La Chiesa invece, con la sua presenza capillare nelle comunità, con il suo approccio individuale, i nuovi bisogni li vede».
Cos’ ha di diverso questa crisi?
«Che non colpisce particolarmente i poveri tradizionali, che erano poveri e poveri restano, ma aggredisce le famiglie di ceto medio-basso trascinandole improvvisamente sotto il tenore di vita a cui sono abituate e che non possono stravolgere da un giorno all’ altro. Il welfare non ha nulla da dare a queste famiglie: la social card, ad esempio, si rivolge alle persone sotto la soglia di povertà, non al precario in mezzo a due contratti o all’ artigiano in crisi di liquidità e senza accesso al credito».
Ma vescovi e Caritas dicono che il loro sforzo è solo temporaneo, emergenziale.
«Hanno ragione. Gli interventi annunciati hanno un carattere di denuncia, se vuole di provocazione. Avranno raggiunto il loro vero scopo solo se, alla fine di questa crisi, il welfare statale sarà profondamente cambiato, avviandosi finalmente sulla strada della sussidiarietà e dell’ integrazione con la società civile. Ma nel frattempo nessuno può pensare che la Chiesa stia a guardare senza dare risposte a chi bussa alla sua porta». – m. s.
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