Caffarra, omelia tra i licenziati – “Delocalizzare crea disoccupazione” – di MICHELE SMARGIASSI
(il testo completo dell’omelia qui)
Undicesimo: non delocalizzare. Primo Maggio coerente e severo quello del cardinale Carlo Caffarra, coronato da un appello, implicitamente rivolto agli imprenditori, ad un “patto sociale per il lavoro”, e da un esplicito incoraggiamento ai sindacati. Il cardinale oggi alle 10.30 celebra la festa di san Giuseppe lavoratore sull’altare della chiesa parrocchiale di Zola Predosa, tutt’altro che scelta a caso: è lì, nel comune dell’hinterland, che più alto è suonato l’allarme disoccupazione, con la dolorosa e non ancora conclusa crisi alla Fini Compressori. Nell’omelia, anticipata alla stampa, l’arcivescovo di Bologna spende parole che non potrebbero essere più esplicite: “Delocalizzare la produzione alla ricerca di aree dove più basso è il costo del lavoro, anche se non raramente meno tutelato, non può essere il criterio supremo, quando crea disoccupazione. A breve o medio termine i costi economici sono anche costi umani, e viceversa”.
La presa di posizione, un esplicito monito morale rivolto ai dirigenti delle aziende, è il cuore di una riflessione che parte da lontano. Caffarra prende le mosse addirittura dalla Genesi, là dove Dio crea la terra e nella terra l’uomo che mediante il suo lavoro “domina la terra e la soggioga”. Dunque, deduce il cardinale, “non si può separare il lavoro dalla persona che lavora, considerandolo alla stregua degli altri fattori di produzione. Nel lavoro è sempre presente la persona, e la ‘questione lavorò in ogni suo aspetto è in fondo sempre e comunque uno dei modi in cui si pone la ‘questione uomo’. Avere dimenticato questa connessione ha portato, e può continuare a portare se l’oblìo continua, gravi conseguenze”.
Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro: l’economia dunque non può essere una scienza che deve i suoi princìpi solo alla logica del massimo profitto. Per Caffarra l’economia non può che mettere “al centro l’inviolabile dignità del lavoro”, e per farlo deve fondarsi su “tre pilastri: essere l’uomo a immagine e somiglianza di Dio, il trascendente valore delle norme morali e l’inseparabilità del lavoro dalla persona che lavora”.
Ma come si difende questa “civiltà del lavoro”? Le norme giuridiche, osserva l’arcivescovo, sono necessarie ma in sé restano “una difesa molto debole se quei tre pilastri non generassero una coscienza morale”. Da questo Caffarra deduce la sua condanna della delocalizzazione degli impianti produttivi come conseguenza logica di semplici ragionamento di convenienza, che rischiano di “essere funzionali a decisioni eticamente sbagliate, cioè contro la persona”.
Ma a chi spetta il compito di trasformare questo monito in intervento, affinché non resti “mera affermazione di principio”? Caffarra si spinge fino alle soglie di un appello politico, proponendo che “si costruisca veramente nella nostra città una forte alleanza, un vero e proprio patto sociale, a favore del lavoro dignitoso, contro ogni violazione della dignità del lavoro”. L’arcivescovo sceglie anche le forze sociali a cui affidare il compito di “cura e tutela” della dignità del lavoro”, e non poteva che rivolgersi a “voi, organizzazioni sindacali, da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa”. In nome di un Uomo che “non ha disdegnato la qualifica di carpentiere”, e di una Chiesa che con san Paolo identificò nel lavoro la stessa condizione dell’uomo. “Chi non lavora, non mangi”.
(01 maggio 2010) © Riproduzione riservata
Lascia un commento