….da un suo nascondiglio chiede di testimoniare anche l’infermiera assassina di Dachau: la donatrice di morte. Rivela che il prigioniero, giunto ormai agli ultimi sussulti di vita, le offrì la sua corona del Rosario (fatta con materiale di fortuna). “Non prego, io non so pregare!”, rispose lei. Non la voleva. E padre Tito del Carmelo la rassicurò: “Basta che tu dica: Prega per noi peccatori”.
La fattoria della famiglia Brandsma, in Frisia, ha lavoro per tutti, ma Anno Bjoerd (questo il nome di battesimo) è fragile e inadatto alla fatica. Dopo il ginnasio presso i francescani di Megen, a 17 anni viene accolto tra i carmelitani di Boxmeer, prendendo il nome di Tito (quello di suo padre). Nel 1905 viene ordinato sacerdote. Nel 1909, all’Università Gregoriana di Roma, si addottora in filosofia, disciplina che insegnerà poi per 33 anni, prima ai carmelitani di Oss, poi all’Università Cattolica di Nimega. Padre Tito studia la spiritualità di santa Teresa d’Avila, ispiratrice di ogni carmelitano, viaggia attraverso l’Europa e l’America, diventa giornalista e assistente nazionale dei giornalisti cattolici.
Nel 1933 il nazismo va al potere in Germania. Arrivano le prime persecuzioni contro gli ebrei tedeschi, e dall’Olanda si reagisce (1936) con la pubblicazione di una raccolta di articoli antinazisti. Uno di essi dice: “Ciò che si fa ora contro gli ebrei è un atto di vigliaccheria”. Quello che chiama vigliacchi i superuomini del nazismo è proprio lui, il fragile padre Tito.
Maggio 1940: Adolf Hitler invade l’Olanda. Il piccolo partito nazista locale alza la testa ed esige che i giornali cattolici pubblichino i suoi annunci, che sono propaganda per l’occupante e per i suoi vassalli. Padre Tito è chiamato a percorrere l’Olanda portando ai direttori dei giornali il “no” dell’episcopato a tale richiesta. No, anche a costo di chiudere i giornali. Più tardi il rifiuto sarà reso pubblico, perché tutti sappiano.
Il 19 gennaio 1942 la Gestapo arresta padre Tito a Nimega. E poi, di carcere in carcere, di interrogatorio in interrogatorio, il 19 giugno 1942 il religioso arriva al Lager di Dachau. Hanno tentato di farlo cedere, ma sempre invano, perché, come dice la Gestapo: “Egli ritiene suo dovere difendere la fede cristiana contro il nazionalsocialismo”.
A Dachau, padre Tito è lieto nei tormenti, perché ha con sé l’ostia della comunione, dono di preti tedeschi deportati. “Predica” sottovoce a gruppetti di compagni, recita a memoria le parole della Messa. Quando non può più muoversi c’è il lazzaretto, per i suoi ultimi otto giorni. E poi viene l’“infermiera” con la siringa: acido fenico nelle vene, morte e crematorio.
C’è ordine di bruciare anche le carte che lo riguardano. Ma qualcuno le salva; serviranno per la sua beatificazione quale martire (3 novembre 1985). Ma da un suo nascondiglio chiede di testimoniare anche l’infermiera assassina di Dachau: la donatrice di morte. Rivela che il prigioniero, giunto ormai agli ultimi sussulti di vita, le offrì la sua corona del Rosario (fatta con materiale di fortuna). “Non prego, io non so pregare!”, rispose lei. Non la voleva. E padre Tito del Carmelo la rassicurò: “Basta che tu dica: Prega per noi peccatori”.
Il calendario liturgico dell’Ordine Carmelitano ne ricorda la memoria non nel giorno del dies natalis ma il 27 luglio.
Autore: Domenico Agasso
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