Mi riferisco agli economisti allievi di Milton Friedman che hanno teorizzato il divorzio tra economia ed etica inneggiando all’egoismo individuale, al cosiddetto istinto animale che porta ad arricchirsi senza limiti e con ogni mezzo a scapito degli altri. E che è il padre dei castelli speculativi miseramente crollati.
Intervista
Zamagni: «Chiede il ritorno all’etica»
L’economista: «Il Pontefice ricorda che causa della crisi è il divorzio tra l’economia e il bene comune E il danaro è un mezzo, non il fine»
Critiche agli ultraliberisti: «Hanno teorizzato l’egoismo, l’arricchimento a ogni costo e questa globalizzazione Le parole di Benedetto XVI fanno chiarezza e aprono nuove prospettive al laicato»
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Benedetto XVI ha più volte criticato l’ultraliberismo sul quale è stata impostata la globalizzazione dei mercati e dei capitali. Il puntuale richiamo di ieri ad affidarsi alla Parola di Dio e alla sua solidità in tempi di tsunami finanziari ha radici profonde nella storia del pensiero cristiano.
«Ma la novità – osserva l’economista Stefano Zamagni, membro della Pontificia accademia di Scienze sociali – è che fino a ieri l’establishment e gli accademici di sostegno facevano spallucce quando la Chiesa parlava di etica ed economia. Oggi, che la loro reputazione è pari a zero per non aver saputo prevedere il disastro, le parole del Pontefice sono finalmente diventate di estrema attualità e interesse».
Le banche «crollano», i soldi «svaniscono », l’unica realtà che resta è Dio e la sua parola. Professore, cosa voleva dire il Papa «economista»?
«Che fin dal 1400, quando i frati francescani ebbero l’intuizione di fondare i Monti di pietà, la finanza ha avuto per la Chiesa un duplice compito: oltre alla tradizionale finalità caritativa, doveva fare da motore alle idee innovative per la creazione di lavoro e sviluppo. La riflessione teologica sulla ricchezza e la sua creazione si è concentrata su queste due funzioni. Ed è andata così fino all’inizio del secolo scorso, quando la finanza si è man mano staccata dall’economia reale, assumendo un ruolo autoreferenziale e snaturandosi.
La globalizzazione, iniziata circa 25 anni fa, ha definitivamente slegato le banche dal finanziamento delle imprese e delle idee innovatrici. Gli istituti di credito commerciale si sono trasformati in organismi speculativi con l’appoggio delle istituzioni finanziarie internazionali. Il Papa ha voluto ricordare le cause della crisi: quando il danaro e, in questo caso, le operazioni finanziarie, da mezzi per il bene di tutti diventano un fine, non vanno lontano. Ha indicato secondo me la via d’uscita in questo momento drammatico. E ha chiesto al mondo una svolta culturale».
Quale sarà?
«Il ritorno al matrimonio tra etica ed economia. Fino all’inizio del 1900 l’economia di mercato, nata nell’Europa medievale, aveva una dimensione etica perché finalizzata alla realizzazione del bene comune e non solo all’arricchimento individuale dell’imprenditore. Aveva una funzione di crescita sociale. Ed è quanto ha sempre continuato a sostenere la Chiesa cattolica anche quando non era di moda. Ricordo che il primo gennaio del 2000, aprendo il Giubileo, Giovanni Paolo II fece un richiamo preciso a operatori economici e finanziari, economisti compresi, invitandoli a non disgiungere l’etica dall’economia. Invece il neoliberismo ha rotto l’unione creando il disastro di questi giorni. Che ha dei responsabili precisi premiati pure con il Nobel».
Allude alla scuola di Chicago?
«Precisamente. Mi riferisco agli economisti allievi di Milton Friedman che hanno teorizzato il divorzio tra economia ed etica inneggiando all’egoismo individuale, al cosiddetto istinto animale che porta ad arricchirsi senza limiti e con ogni mezzo a scapito degli altri. E che è il padre dei castelli speculativi miseramente crollati. La realtà ha dimostrato che quelle teorie erano sbagliate. Eppure c’erano intellettuali che, quando nei convegni qualcuno si azzardava a parlare di bene comune o di dottrina sociale della Chiesa, lo trattavano come un chierichetto. Ma non ho sentito mea culpa. Penso ad esempio al Nobel Gary Becker, il quale, dopo aver sostenuto teorie ultraliberiste dominanti nel Fondo monetario, in Banca mondiale e in varie cancellerie, non ha avuto l’onestà intellettuale di ammettere i propri errori. Anzi, rilascia interviste dove consiglia correzioni di rotta. Credo che il Papa ha l’indubbio merito di aver fatto chiarezza intervenendo al momento giusto».
Quali scenari apre questo discorso?
«A patto di agire con umiltà, è un momento d’oro per il laicato cattolico. Dalla crisi non usciremo prima di un paio d’anni. Poiché la globalizzazione è stata sostenuta dalla terza rivoluzione industriale, quella dell’informatica, che consente di spostare i capitali pigiando un tasto del personal computer. Non si torna indietro, ma abbiamo la possibilità di essere seriamente ascoltati quando proponiamo una nuova economia basata sull’etica e a una finanza equa e motore dello sviluppo. Si può tornare a edificare sulla roccia, non più sulla sabbia».
© Copyright Avvenire, 7 ottobre 2008
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